
L'idea progettuale denominata “Manta River Project” nasce da un’esigenza molto concreta che tra i suoi principali obiettivi ha quello di raccogliere dati essenziali per una successiva indagine mirata sui possibili effetti nella catena alimentare delle microplastiche su raccomandazione comunitaria.
Le microplastiche sono particelle solide estremamente piccole (in genere di dimensioni inferiori a 5 mm) composte da miscele di polimeri (polietilene PE, polistirolo PS, Polietilene tereftalato PET, etc.) e da additivi che possono rappresentare inquinanti chimici, come i plastificanti, i ritardanti di fiamma e gli stabilizzatori aggiunti in fase di produzione (il bisfenolo A, gli ftalati e i polibromodifenileteri, ad esempio, per la cui pericolosità sono stati banditi dal packaging per uso alimentare ma che rimangono largamente impiegati per tutte le altre applicazioni).Tali particelle possono contenere inoltre impurità residue provenienti dai siti di produzione o sostanze tossiche adese alla loro superficie poiché presenti in acqua (il DDT, gli idrocarburi policiclici aromatici, i metalli pesanti, etc). Possono formarsi accidentalmente in seguito all’usura e al deterioramento di frammenti di plastica di maggiori dimensioni (microplastiche secondarie), come buste e contenitori di plastica, bottiglie e oggetti di plastica monouso o reti da pesca. Rispetto ai fiumi sono più presenti in mare e negli oceani dove rappresentano circa il 68-81% delle microplastiche presenti. Oppure possono essere fabbricate e aggiunte intenzionalmente a determinati prodotti per uno scopo specifico. L'origine principale è rappresentata dal lavaggio di capi sintetici (35% delle microplastiche primarie), seguita dall' abrasione degli pneumatici durante la guida (28%) e infine da microplastiche aggiunte intenzionalmente nei prodotti per la cura del corpo (2%)
Le microplastiche presenti nell'acqua possono essere ingerite da fauna selvatica, pesci, molluschi, etc. che a loro volta possono essere mangiati dall'uomo. Pertanto si accumulano microplastiche dovute alla presenza negli animali e/o nell'acqua ingerita. Sono vari i pericoli che sono stati associati alle microplastiche, tra cui: rischi fisici / meccanici, ad es. ostruire o interferire con il normale funzionamento delle branchie o dell'apparato alimentare o dell'intestino (poichè possono essere state scambiate per cibo). Rischi (eco) tossicologici possono verificarsi dai polimeri stessi o attraverso la presenza di monomeri non reagiti e impurità (ad esempio per la presenza di catalizzatori o residui delle reazioni di produzione dei polimeri), additivi (ad es. stabilizzanti) o altre sostanze all'interno della matrice polimerica (ad esempio pigmenti, lubrificanti, addensanti, agenti antistatici, antiappannanti / chiarificanti, agenti nucleanti, plastificanti, ritardanti di fiamma, ecc.) che possono risultare tossici per la fauna e per l'uomo, rischi dovuti a inquinanti ambientali, come inquinanti organici o metalli che adsorbono sulle particelle di microplastica e che possono successivamente essere rilasciati se vengono ingerite microplastiche, portando a una maggiore bioaccumulo nel corpo di chi le ha ingerite. Tuttavia, c'è attualmente consenso scientifico su questo tema e sembrerebbe che l'ingestione di microplastiche non migliora significativamente il bioaccumulo di sostanze tossiche presenti nell'ambiente.
ARPAE Emilia-Romagna si è occupata del campionamento della risorsa idrica nei vari luoghi individuati.
Il Dipartimento Ingegneria Chimica Materiali Ambiente (DICMA) dell’Università di Roma La Sapienza, ha effettuato le analisi con strumentazioni e metodologie tecnologicamente avanzate: identificando e classificando le microplastiche campionate nei diversi siti sperimentando una tecnica innovativa che ha già fornito risultati promettenti: l'analisi d'immagine iperspettrale".